PROFEZIA, POLITICA E INNOVAZIONE POETICA
Archivio dei filosofi del Rinascimento
1.1. Profezia, politica e innovazione poetica
«O servili petti, perché la gloria
tanta
de’ nostri antichi fate che non vi
mova?»[298]
In questo
distico citato nella Poetica giovanile,
tentativo di poetare in volgare alla «maniera de’ Latini», l’esortazione rivolta
ai poeti moderni, che la veste interrogativa non tradisce, raggiunge una
levatura tonale tale da rendere difficile credere ad una semplice
sollecitazione circoscritta alla poesia o al desiderio, per quanto sentito, di
porre l’attenzione su una convinzione o un’aspettativa meramente estetica.
L’accento cade deciso sull’azione, sull’invito prorompente a guardare al
passato per agire sul presente, affinché ciò che lo ha caratterizzato ci aiuti
a muoverci nel contingente e, come vedremo, con le braccia ben tese al futuro.
L’articolazione
della sperimentazione poetica delle elegie ci riconduce, ed è per questo che
ritengo interessante affrontarla in appendice ad una tesi sulla filosofia
politica dello Stilese, apparentemente così distante, ad alcune costanti del
pensiero campanelliano, coerenti con una visione unitaria del sapere e
concretamente intrecciate alla sua riflessione politica, di cui riproducono
istanze e movimenti primari, e che fanno assumere alle ‘vicende’ del linguaggio
una valenza storico-profetica in continua relazione con gli atti della
«commedia universale».
In ogni ambito dello scibile il sapiente ha infatti il
compito fondamentale di leggere i segni del cambiamento, andando oltre ogni
dimensione particolare, per coglierne il significato in una prospettiva
universale, che permetta di superare quella contraddizione che nel presente ha
sostituito la saggezza con la follia, l’unita con la frammentazione e,
parafrasando lo Stilese, la conoscenza e l’insegnamento delle stupende opere
della natura con «finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze»[299]. Ed è
proprio la conoscenza lo strumento il cui possesso guida nella giusta
direzione, alla ricerca di quell’armonia con la natura, di cui la riflessione campanelliana
rappresenta un’appassionata testimonianza.
Per il frate
domenicano la prospettiva di un rinnovamento in cui il nuovo «si genera da un
innesto tra il passato ed il presente»[300] è
valida anche rispetto all’evoluzione della poesia, con la necessaria
specificazione che il bisogno di guardarsi indietro non nasce da
un’idealizzazione del passato ma da una visione della storia umana come
progressivo allontanamento dalla natura e inevitabile ricongiungimento ad essa.
C’è quindi un implicito salto in avanti, quasi il distico citato potesse essere
ricondotto ad una formula più generale e quasi imperante:
perché non lasciate
accadere ciò che deve accadere?
C’è sempre quella percezione di un mondo
capovolto che si allontana da ciò che è naturale, ma anche la speranza che
qualcosa cambi, accompagnata dalla convinzione che debba accadere: quindi
perché «fate che ciò non vi mova?». Ciò sembra spostare la domanda dal «perché»
al tempo che dovrà passare perché «la gloria tanta de’nostri antichi» possa
muovere i «servili petti», perché se ne possano cogliere i segni. E’ quindi
«gran pazzia» quella di coloro che credono che la lingua volgare non sia capace
di dar vita a questo naturale avvicendamento.
Il processo di
rinnovamento metrico si muove così tra la personale convinzione della sua
prossima realizzazione, a cui il filosofo calabrese dà i tratti improrogabili
dell’oggettività, e l’attesa angosciante del suo compimento: «ecco la speranza»!.
E’ con queste parole che, dopo aver sottolineato come «i nostri italiani non
hanno potuto ancora trovar il modo di far versi misurati in quella maniera dei
latini, che si dicono piedi», viene introdotto il distico citato, ed è
illuminante che questa disattesa venga posta accanto alla mancata liberazione
dal «giogo della servitù» e all’obiettivo irrealizzato di «riavere l’impero»,
dandoci un prezioso indizio sull’intreccio tra tematiche politico-profetiche e
innovazione poetica[301].
Ripartendo da
una prospettiva puramente estetica, è nel tentativo di dare alla poesia volgare
una misura adatta ad esprimere contenuti elevati che Campanella rivolse la propria
attenzione a quel metro «eroico» che aveva caratterizzato la poesia classica.
Il suo non fu un percorso solitario, ma un contributo originale ad una
trasformazione già in atto nell’ambito della tradizione poetica volgare, di cui
il Nostro mostra, anche nelle pagine già citate della Poetica, di essere ben a conoscenza. Insoddisfatti dei limiti posti
da una riforma linguistica e letteraria come quella operata dal Bembo[302] agli
inizi del XVI secolo e, ciò che ancor più ci interessa, decisi a cercare una
risoluzione nella tradizione classica, alcuni poeti tardo-rinascimentali, tra
cui i «gentili spiriti guidati da Claudio Tolomeo»[303],
avevano preso parte ad un processo di rinnovamento della poesia volgare che andava
in una direzione opposta a quella proposta dallo scrittore veneziano e in cui «il
confronto con le forme metriche latine si intrecciava al tentativo di dare al
volgare nuova dignità, anche attraverso l’acquisizione di strumenti formali che
fossero all’altezza dei generi più impegnativi»[304].
L’apporto dello
Stilese a questa ricerca di trasformazione metrica, oltre alle prove in versi,
realizzate a partire dal periodo trascorso a Roma nel carcere del Sant’Uffizio
fra il 1594 ed 1595, aveva preso, secondo quanto testimoniato dall’Autore
stesso, le forme di un trattato sull’arte dello scrivere in versi, che è stato
perduto e che Campanella ricorda come l’Arte
versificatoria[305].
Trattare sulle regole del
versificare, come sottolinea Romano Amerio, rientrava a pieno titolo in quel
progetto di «rinnovazione generale del cristianesimo in tutti gli ordini
dell’intelletto»[306], a cui il Nostro
attribuiva un carattere necessario, e che lo portava naturalmente a cercare
nella poesia quel carattere originario che
credeva di trovare nell’esperienza latina, ma che non precludeva
l’interessamento per le forme di poesia praticate, ad esempio, da quelle
popolazione che le nuove conquiste avevano portato a conoscenza. Facendo un
passo ulteriore, niente escludeva ai suoi occhi l’incontro con testimonianze di
pratiche poetiche in cui l’intreccio tra poesia e musica, o l’efficacia
nell’agire sul movimento dello spiritus,
fosse maggiore e ancora più naturale della
«maniera de’ Latini», costituendone una valida alternativa, visto che «anche in
America fu trovata la poesia, sebbene di diverso metro, secondo la differenza
degli spiriti» [307].
Ricerche, scoperte e
nuove sperimentazioni dovevano però procedere nella direzione di una sempre più
efficiente imitazione della natura, e, oltre gli avvicendamenti ciclici,
ricercare un linguaggio che avesse, al di là delle potenzialità magiche, un
carattere primario della natura: l’unità.
Semplificando, è evidente che ogni
riforma della lingua volgare che cercasse di evolversi al proprio interno, cercando
di normalizzare il proprio particolarismo sarebbe andata in una direzione
opposta, perdendo quella componente universale del linguaggio, che sta nel suo
ambire a riprodurre la natura della cose, e dimenticando che la
diversificazione è anche qui un prodotto storico.
Se queste
convinzioni portano Campanella ad avvicinarsi e a partecipare concretamente al
dibattito sulla poesia ‘barbara’, allo stesso tempo il filosofo sembra voler
rivendicare, come fa nei passi ricordati della Poetica giovanile, la propria originalità e diversità sostanziale
rispetto a quella linea storica su cui lo avevano preceduto il Tolomeo e i suoi
amici, per i cui tentativi, in fondo segno della prossimità di un cambiamento,
non può non provare simpatia così come non riconoscerne il fallimento, a suo
modo di vedere, per l’incomprensione dei naturali presupposti e delle reali
finalità dell’‘avvicendamento’ poetico, inevitabile.
A creare distanza tra le
due esperienze, formalmente omogenee, è sicuramente la radicalità del
naturalismo dello Stilese, non solo alla luce della «visione escatologica della
riduzione delle cose all’uno» che domina la sua visione complessiva del sapere[308], ma
anche soltanto, riducendo il nostro raggio d’azione, per i motivi peculiari
della poetica, ricordati poco sopra.
Nell’ottica campanelliana è infatti necessario,
come ha scritto puntualmente L. Bolzoni, mettere «in atto delle strategie che
permettano di recuperare il rapporto con la natura, di riassicurarsi conoscenza
e operatività»[309]. L’aspetto estetico è però solo formalmente separabile dalla prospettiva profetica, che lo determina e
giustifica l’impetuosità con cui Campanella ne porta avanti la causa.
Note
Note
[298] Poetica, ed.
cit., p. 417; cfr. anche O servili petti,
in Le poesie, ed. cit., n. 93, p.
466. Questo distico, di cui siamo a conoscenza solo grazie alla citazione della
Poetica, può considerarsi con una
buona approssimazione un frammento di una poesia perduta dello stesso
Campanella, probabilmente tra le sue prime sperimentazioni con «metrica
barbara».
[299] A’poeti, in Poesie, ed.cit., n. 2, p. 13.
[300] L.
Bolzoni, La ricerca campanelliana di una
nuova lingua e di una nuova metrica, in Tommaso
Campanella e l’attesa del secolo aureo (III Giornata Luigi Firpo - 1 marzo
1996), Olschki, Firenze 1998, p. 43.
[301] Cfr. Poetica, ed.cit., pp. 416-417.
[302] Pietro
Bembo (1470-1547) riteneva il volgare una lingua letteraria più ricca di
avvenire di quanto lo fosse la lingua latina restaurata dall’umanesimo e ne
individuava il prototipo primario nell’eccellenza della tradizione toscana,
rappresentata soprattutto da Petrarca e Boccaccio. Di quest’ultimi si servì per
stabilire le regole di uno stile e di una lingua letteraria allo stesso tempo
viva, chiara ed elegante, in contrasto con la ricchezza dispersiva del
linguaggio degli scrittori dei secc. XV e XVI. L’importanza di B. sta anche
nell’aver dato unità e norma alla lingua letteraria italiana, distinguendola
dalla lingua domestica e popolare. Per un’analisi delle connessioni tra le
regole poste dal Bembo alla lingua volgare e l’insoddisfazione di quei poeti
che si rivolsero alle misure della poesia classica cfr. C. Dionisotti, Tradizione
classica e volgarizzamenti, in Geografia
e storia della letteratura italiana, Torino, 1967, pp. 140-152.
[303] Poetica, ed.cit., p. 416. Gli
esperimenti di Claudio Tolomei (1492-1596) e del suo gruppo di ‘amici-poeti’ si
erano a loro volta riallacciati ai tentativi di poetare in volgare con misura
latina di Leon Battista Alberti. Altri autori confrontabili a riguardo dei
secc. XV e XVI sono: A.Caro, L.Dati, G. Fracastoro e A.Minturno. Sulla
tradizione della metrica barbara, cfr. La
poesia barbara nei secoli XV e XVI, a cura di Giosuè Carducci, Bologna
1881; M. Geymont, Osservazioni sui primi
tentativi di metrica quantitativa italiana, «Giornale storico della
letteratura italiana», CXLII, 1966 pp. 378-389; G. Arbizzoni, Esperimenti di metrica eroica tra Cinque e Seicento,
«il contesto», III 1977, pp. 183-207. Per la bibliografia della medesima cfr.
G. Vergara, Guida allo studio della
poesia barbara italiana, Napoli 1978.
[304] L. Bolzoni,
La ricerca campanelliana di una nuova
lingua e di una nuova metrica, ed.cit., pp. 59-60.
[305] Per la
collocazione spazio-temporale, la testimonianza autobiografica sulle prime
sperimentazioni di poesia barbara ed il trattato sull’arte versificatoria cfr. Sintagma de libris propriis et recta ratione
studendi, I , 2, p. 385.
[306] R.
Amerio, Opere di Bruno e di Campanella,
a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1956,
p. 941.
[307] Cfr. Poetica Latina, ed.cit., p. 1099; L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua
e di una nuova metrica, ed.cit., pp. 50-51.
[308] Cfr.
B. Croce, Intorno alla filosofia de
Campanella, in Discorsi di varia
filosofia, Laterza, Bari 1959, pp. 216-217.
[309] L.
Bolzoni, La ricerca campanelliana di una
nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 55.
Indice
Premessa
Introduzione
La Natura del Dominio
Appendice
Bibliografia/Opere di Tommaso Campanella
Premessa
Introduzione
La Natura del Dominio
Appendice
Bibliografia/Opere di Tommaso Campanella
Bibliografia/Opere su Tommaso Campanella
Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
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