TRA PROFEZIA E REALISMO: UNA 'GUIDA' PER LA REALIZZAZIONE DELLA MONARCHIA UNIVERSALE







INTRODUZIONE


1. Dal soggiorno padovano al ritorno in Calabria


1.2. Tra profezia e realismo: una ‘guida’ per la realizzazione della monarchia universale 

Il 31 dicembre del 1596 viene accordato a Campanella il trasferimento da Santa Sabina al convento della Minerva, nel centro di Roma, dove il filosofo calabrese, dopo essere stato prosciolto dal Sant’Uffizio ed essere tornato sotto l’autorità dei superiori domenicani, avrà la possibilità di condurre un’esistenza meno tormentata. Basteranno però soltanto pochi mesi perché abbia inizio un nuovo procedimento giudiziario, quello individuato nella ricostruzione firpiana come ‘quarto processo’, che avrà origine dalle accuse di un delinquente comune che, il 5 marzo, al fine di ottenere il rinviò della propria esecuzione capitale, dichiara di poter fare rivelazioni in materia di religione ed indica Campanella come eretico. Lo Stilese viene quindi arrestato e riportato nel carcere dell’Inquisizione romana, e, in assenza di prove a suo sfavore, rimesso in libertà il 17 dicembre e riaffidato all’ordine domenicano, che, oltre a proibirne buona parte degli scritti, gli ordina di tornare in Calabria(11). Giungerà a Stilo solo il 15 agosto, dopo aver nuovamente soggiornato a Napoli. 
E’ lo stesso filosofo calabrese a dichiarare di aver scritto La Monarchia di Spagna, uno dei suoi più rilevanti e controversi scritti politici, volto a guidare il sovrano cattolico verso la realizzazione della monarchia universale, proprio a Stilo nel 1598, sottolineando come l’opera, essendo stata composta prima della congiura, venga a costituire una prova della sua innocenza(12). Ai problemi di ordine filologico, che hanno accompagnato la diffusione del testo, dovuti alla presenza, in una parte rilevante dei manoscritti, di interpolazioni prevalentemente boteriane, si è invece recentemente provveduto con la pubblicazione della versione autentica del testo italiano(13)
L’opera ha incontrato fin dagli esordi del Seicento un’elevata fortuna, alimentando un dibattito che ha sottoposto ad una ferrea critica la pragmaticità dei suggerimenti rivolti da Campanella al re spagnolo per persuaderlo ad allearsi con il pontefice e a sopprimere ogni dissenso religioso, ricostituendo quel presupposto necessario alla conservazione e all’accrescimento di un dominio rappresentato dall’unità confessionale. Tra i più criticati merita di essere ricordato l’invito a dividere ed indebolire i paesi nemici della Spagna, per favorire la missione universalistica che «il fato divino» ha riposto nelle sue mani, che trova l’espressione più emblematica nel capitolo che riproduce il già citato Discorso sui Paesi Bassi, che, nella sua specifica attualità, ha avuto anche un’ampia diffusione autonoma nei paesi protestanti. A tratti spietato, il realismo di Campanella, che ritroveremo anche in molti passi del De politica, ha quindi portato i commentatori del suo tempo a presentarlo «come un nuovo, più insidioso Machiavelli, i cui sottili stratagemmi era opportuno conoscere al fine di contrapporvi le opportune difese»(14), a riconoscervi la stessa abilità nell’uso dell’arte della dissimulazione, di cui lo Stilese ripropone l’essenza, rendendola però, per il fatto stesso di prendere quasi ossessivamente le distanze dall’insegnamento politico del Segretario fiorentino, ancora più subdola e temibile.
Il cuore del parallelo con Machiavelli, che accompagna in forme diverse l’evolversi del pensiero campanelliano, risiede nella definizione dei termini relazionali che legano religione e politica, che nel filosofo calabrese vengono ad assumere una dimensione fondante ed imprescindibile, ulteriormente riverberata dal suo originarsi all’interno di un ambito controriformistico. A rendere le due posizioni inconciliabili è soprattutto la prospettiva profetica specifica della dottrina politica dello Stilese, che lo porta ad evidenziare costantemente i limiti filosofici dell’impostazione machiavelliana e ad indicare la necessità di oltrepassare i confini di una concezione autonoma del potere politico, la cui debolezza si riflette nella visione del Segretario fiorentino. Se entrambi riconoscono la rilevanza politica della religione come vincolo unitivo primario delle comunità umane, diverso è il percorso che li conduce a questa conclusione, così come diverse sono le implicazioni che essa comporta nelle rispettive ottiche. In Machiavelli prevale uno sguardo realistico alla storia e alle quotidiane prassi di governo, che gli permette di individuare nella religione uno strumento irrinunciabile dell’arte politica, a cui viene quindi subordinata. In Campanella, al contrario, la politica sviluppa i propri tratti specifici in seno alla religione, come testimonia in modo eloquente la teoria delle tre cause del dominio umano che apre la Monarchia di Spagna: «Tre cause communi concorrono al conquisto e mantenimento d’ogni gran signoria, cioè Dio, la prudenza e l’opportunità, le quali, unite insieme, si dicon fato, che è l’accordo di tutte le cause agenti in virtù della prima»(15)
Anche se il suo modus operandi non sempre è perscrutabile all’uomo, il reale artefice degli eventi storici è Dio, e la capacità di un vero politico si esplicita là dove cerca e sa armonizzare le cause contingenti a quelle universali, così come le ragioni di una parte a quelle del tutto, uniformando le vicende umane alle leggi del fato. In questa prospettiva lo Stilese individua nella profezia e nell’astrologia due strumenti essenziali al fine di riportare la realtà di un dominio alla sua specifica dimensione universale, scopo per il raggiungimento del quale un ruolo fondamentale è attribuito alla Bibbia, capace di abbracciare e configurare in sé l’intera storia umana. Sarà quindi necessario cogliere le corrispondenze tra gli avvenimenti presenti e le narrazioni delle Sacre Scritture, perché «quando si seguitano li auspicii del fato ogni cosa prospera, e quando si va contro il fato si difficulta»(16). Lo stesso dovrà fare la Spagna, come ogni nazione che voglia conoscere il proprio ruolo rispetto al tutto e conformarsi ad esso, adempiendo al ruolo affidatogli da Dio nella realizzazione della monarchia universale.
Oltre a ribadire i temi già formulati negli scritti politici precedenti, nella Monarchia di Spagna Campanella delinea quel parallelismo tra una comunità politica ed un organismo vivente che, con semplicità e concretezza, fa luce sull’intrecciarsi di gerarchia, unità e reciprocità nella sua visione delle relazioni sociali tra le diverse componenti comunitarie, e che riflette la razionalità che accomuna filosofia naturale e politica, così come ogni voce del suo sistema. Di fatto, siamo di fronte ad una variazione sul tema dell’unità, che permette di evidenziare come il compito della politica sia, in primis, quello di favorire la connessione e la vicendevole funzionalità delle parti rispetto all’insieme, tutte ugualmente necessarie a prescindere dal ruolo ricoperto nella gerarchia sociale, proprio come le diversa membra di un corpo rispetto alla testa. Viene poi tracciata la contrapposizione tra la prudenza, che sposa il punto di vista del tutto, e l’astuzia, o «ragion di stato», che si perde nell’affermazione dei propri interessi, in una prospettiva che riproduce simmetricamente i caratteri che distinguono la concezione politica campanelliana da quella machiavellica, permettendo di qualificare ulteriormente il buon politico come colui in grado di guardare al benessere collettivo, inteso come unità, prima degli animi, poi dei corpi ed, infine, dei beni materiali. 
Il resto dell’opera è volta, sulla base dei principi esposti, ad un’analisi realistica della realtà storica contingente, da cui emerge, andando oltre la natura filo-ispanico dello scritto, la critica al malgoverno spagnolo, ben nota a chi come Campanella è cresciuto sotto la sua oppressione. Al di là delle accuse alla rovinosa amministrazione della giustizia, che troppo spesso sembra rispondere alla ragion di stato piuttosto che alla legge, è opportuno quantomeno citare due tesi, sulle quali avremo modo di ritornare, la cui inosservanza da parte della Spagna è una risposta sufficiente a legittimare la sua fragilità. La prima concerne la priorità della tesorizzazione degli uomini, il cui amore reciproco è tra le armi più efficaci per estendere un dominio, su quella dei beni materiali, che possono invece generare avidità e con essa divisione e disuguaglianza sociale. La seconda, alla precedente strettamente connessa, è la necessità di ispanizzare, ovvero di estendere la cittadinanza ai popoli conquistati per unirli alla causa spagnola, con il conseguente apporto di ingenti risorse umane. Segue un esame dettagliato dei pregi e dei difetti strategici dei diversi paesi, con un ricco arsenale di consigli alla Spagna per fortificare il legame con le forze amiche ed indebolire quello con gli oppositori, come avviene nel già nominato capitolo sui Paesi Bassi. L’analisi sfocia in una dura critica agli enormi sprechi prodotti dalla politica spagnola muovendosi nella direzione esattamente opposta a quella consigliata, esasperando i contrasti e incoraggiando  l’odio. Accompagnata da un’analisi ‘fisiologica’ dei popoli, le cui implicazioni non possono essere trascurate, la requisitoria campanelliana della Monarchia di Spagna finisce in fondo sul punto da cui si origina ogni analisi politica dello Stilese. Il vero errore della Spagna, ennesima conferma della debolezza della «ragion di stato», è infatti stato quello di non considerare i vincoli imprescindibili che legano religione e politica, non provvedendo a stroncare sul nascere le dottrine eretiche.
I due capitoli conclusivi sono infine dedicati al nuovo mondo e alla navigazione, che ha portato alla straordinaria espansione verso luoghi sconosciuti, evidente testimonianza della missione profetica di cui è investita la monarchia spagnola, che ne legittima allo stesso tempo la conquista di nuovi territori, come il filosofo sosterrà più dettagliatamente nel Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero(17). Nonostante la fermezza di questa posizione, Campanella non risparmia critiche alla violenza delle modalità di conquista e allo sterminio delle popolazioni, che, come abbiamo visto, costituiscono una ricchezza ben più preziosa dell’oro.



Note
(11) Cfr. I primi processi campanelliani in una ricostruzione unitaria, in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura di E. Canone, Salerno, Roma 1998, pp. 87-95.
(12) Cfr. Lettere, ed. cit., p. 28. La datazione dichiarata da Campanella ha diviso la critica che, non concorde sulla sua veridicità, ha proposto diverse soluzioni. Tra queste, L. Amabile ha suggerito l’ipotesi di una composizione anteriore alla congiura, andata perduta, a cui sarebbe seguita una rielaborazione nei primi mesi di carcerazione. L. Firpo ha invece ritenuto che l’opera sia stata scritta nella seconda metà del 1600 e opportunisticamente retrodatata dallo Stilese con finalità autoapologetiche (cfr. L. Firpo, Ricerche campanelliane, Sansoni, Firenze 1947, pp. 189-203). Al contrario G. Ernst ha considerato l’indicazione campanelliana plausibile, sia per le conferme che il filosofo ne fornisce in testi distanti dagli anni della congiura, sia per il recente ritrovamento, a cui abbiamo già fatto riferimento, di una più breve stesura giovanile. Infine, per quanto sia innegabile la presenza nella redazione finale di aggiunte volte a sottolineare il lealismo filo-spagnolo, secondo la studiosa è improbabile una sua stesura ex novo di un testo così complesso nella durezza dei primi mesi di carcerazione, (cfr. Ernst G., Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso Campanella ed il tardo Rinascimento, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 35-50).
(13) Monarchia di Spagna, in Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, testo italiano a cura di G. Ernst, Presses Universitaires de France, Paris 1997, pp. 1-371.
(14) G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 55.
(15) Monarchia di Spagna, ed. cit., I, p. 4.
(16) Ivi, IV, p. 28.
(17) Cfr. Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero, in G. Ernst, Monarchia di Cristo e Nuovo Mondo. Il ‘Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero’, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi e F. Barcia, Franco Angeli, Milano 1999, vol. II, pp. 11-36, alle pp. 22-31. Lo scritto è una pubblicazione dell’originaria redazione italiana del Sermo de iuribus Regis cattolici super novum hemispherium, edito nella versione latina come ultimo capitolo della Monarchia Messiae.







Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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