SAPIENZA, RAGIONE E NATURA CONTRO IL DOMINIO DEL CASO





INTRODUZIONE


1. Dal soggiorno padovano al ritorno in Calabria


1.2. Tra profezia e realismo: una ‘guida’ per la realizzazione della monarchia universale 

2. Dalla congiura agli ultimi anni di prigionia

2.1. Sapienza, ragione e natura contro il dominio del caso

Il ritorno in Calabria rappresenta per Campanella il fallimento dell’«evasione verso il sapere, la libertà, l’azione»(18), che sembra prospettare per l’indomito frate domenicano, tagliato fuori dallo scenario culturale e politico del proprio tempo, un destino fatto di emarginazione ed isolamento. Come è noto, essendo uno dei luoghi più dibattuti del suo percorso intellettuale ed esistenziale, lo Stilese si lancia invece, anima e corpo, in un’impresa politica che si ripercuoterà in maniera indelebile sulla sua vita e, castigate le possibilità di un intervento diretto, sulle sue opportunità di comunicare al mondo, attraverso la scrittura, la propria verità. 
In un contesto allo sbando come quello del meridione italiano, martoriato dalla povertà e dall’ingiustizia, Campanella porta il proprio messaggio di rivolta, fondato sulla ferma persuasione dell’imminenza di grandi sconvolgimenti di ordine politico, presagiti dalle straordinarie configurazioni astrali. Diretto a liberare la Calabria dai soprusi delle autorità spagnole e ad instaurare una repubblica comunitaria e teocratica, nella quale lo stesso filosofo calabrese avrebbe assunto il ruolo di capo e legislatore, il complotto che ne segue, sostenuto dai Turchi e da centinaia di seguaci, viene però denunciato da due delatori alle autorità spagnole, che danno vita ad una dura repressione. Lo Stilese, arrestato il 6 settembre 1599, viene quindi condotto a Napoli con complici e compromessi, dove «all’entrare nel porto le galere gremite da quel triste carico offersero alla folla spettacolo di atroci esecuzioni capitali per ammonire con salutare esempio gli insofferenti e i riottosi». Capo riconosciuto della congiura e accusato di lesa maestà e di eresia, per Campanella ha inizio un lungo iter processuale, il cui esito, reso incerto soltanto dai conflitto tra i tribunali laici e quelli ecclesiastici e dalla speranza di estorcere al frate domenicano preziose rivelazioni, appare compromesso fin dagli inizi. Sottoposto a tortura, a partire dagli inizi di aprile del 1600 mette in atto con fervida tenacia una simulazione di pazzia, ultimo appiglio per la propria salvezza, perché secondo i canoni «il pazzo non può essere ucciso, perché non avrebbe modo di pentirsi e l’anima sua sarebbe irreparabilmente perduta, ricadendone la responsabilità sul capo dei giudici che l’hanno mandato a morte»(19). Riconosciuto legalmente pazzo il 5 giugno 1601, dopo un interminabile supplizio, e scampato quindi all’esecuzione capitale, lo Stilese viene lasciato, su tacito accordo dei tribunali competenti, nelle prigioni dei Castelli napoletani, privo della speranza di venire prosciolto e sottoposto ad una stretta sorveglianza. Da questo momento, come sottolinea Firpo in una pregevole sintesi poetica della vita ed del pensiero del filosofo calabrese, «la lotta per la vita - per salvare, con la vita, il prorompente messaggio di cui si sentiva portatore – si tramuta in una altrettanto ostinata lotta per la libertà»(20).
Strettamente legata alle vicende delineate è la stesura degli Articuli prophetales(21), in cui vengono sviluppate le scarne dichiarazioni di un documento difensivo, la  Secunda delineatio defensionum(22). Tesa a dimostrare la legittimità dell’attesa dell’avvento di un rinnovamento generale e del secolo d’oro, l’opera è strutturata su un susseguirsi di riferimenti a testi di santi e profeti, di astrologi e sibille, ma anche di filosofi e letterati. In questa prospettiva profetica, viene configurata la ventura repubblica cristiana, che sarà retta da un solo re-sacerdote, detentore del potere spirituale e temporale, e al cui cospetto gli altri re assumeranno il ruolo di ministri e difensori. Come nella Monarchia di Spagna, viene quindi nuovamente sottolineato come il sovrano cattolico vada identificato con il mistico Ciro, a cui è affidata la missione universale di riunificare il gregge cristiano. 
Ma agli inizi della prigionia risalgono soprattutto due scritti politici, brevi ma di mirabile intensità, che, nelle loro antinomie, vengono a delineare «i due versanti della riflessione politica campanelliana, quello ‘realistico’, percorso da echi machiavellici, e quello utopistico-profetico»(23), ovvero, rispettivamente, gli Aforismi politici e la Città del Sole. Se per il primo, che sarà affrontato dettagliatamente nello svolgimento della tesi, ci possiamo limitare ad indicare la cronologia di questa prima stesura, verosimilmente composta alla fine del 1601, la Città del Sole, «idealizzazione e trasfigurazione filosofica»(24) della fallimentare congiura antispagnola, merita invece, tanto per la sua estesa diffusione internazionale che per l’originalità che la contraddistingue all’interno della produzione politica dello Stilese, la dovuta attenzione. 
Dopo averne indicato il «sapore fortemente anacronistico», Firpo, nella sua edizione dell’operetta, mette in evidenzia l’ingenuità di fondo che sembra caratterizzare, ad un primo approccio, questo tentativo di riproporre agli esordi del Seicento «gli ideali del più schietto naturalismo umanistico, il comunismo economico e sessuale, il deismo religioso»(25). In un linguaggio vivacemente popolaresco, denso di espressioni dialettali, che da vita ad una narrazione in cui trovano ampio spazio i riferimenti a questioni concrete e strettamente quotidiane, viene delineata l’immagine di una città retta da un rigoroso regime comunistico ed egualitario, tanto economicamente che politicamente. Abolita la proprietà e l’istituto della famiglia, i Solari, che «si risolsero di vivere alla filosofica in commune»(26), coabitano in una comunità nella quale anche l’amore verso i figli viene considerato un impulso ineluttabile all’avidità e al formarsi degli interessi privati, e che viene di fatto ad identificarsi con lo Stato, al quale, anche per sopperire ai paradossi che contraddistinguono la specie umana, capace di prendersi cura della generazioni di cani e cavalli e di trascurare la propria, viene affidata la cura di ogni aspetto sociale. La stessa dibattuta questione della comunità delle donne non rimanda a nessuna liceità sessuale che prescinda dalla riproduzione, rigidamente regolamentata da apposti ministri ‘statali’.  
Fin dall’esordio del «dialogo politico» viene sottolineato come i Solari abbiamo istituito una tale repubblica dopo essersi sottratti ad un regime tirannico, scelta che, traducendosi in un rifiuto della follia dominante la convivenza umana, «consentirà loro di evitare le distorsioni e i mali che derivano dal prevalere del caso sulla ragione»(27). Nella Città del Sole, invece, niente è lascito al caso e, oltre a delineare i criteri per la pianificazione della generazione, riflesso di una ricerca accurata di intima connessione tra eventi umani ed eventi celesti, Campanella, «annunciando una geniale rivoluzione pedagogica»(28), indica nel contatto diretto con la realtà viva delle cose, rigettando allo stesso tempo ogni insegnamento che si affidi esclusivamente ad uno studio astratto di formule scolastiche, la soluzione opportuna, quando possibile, per la formazione dei ‘discepoli’, dei quali .vengono individuate le attitudini naturali fin dalla tenera età e proiettate verso il bene comune, ovvero l’ottimo funzionamento dello Stato. 
All’assenza di privilegi tra le diverse parti sociali risponde l’assenza, in una originale corrispondenza tra utilità e virtù, di ogni discriminazione verso i lavori  manuali, necessari in una comunità operosa regolata da una rigida gerarchia elettiva e secondo una disciplina autoritaria. I magistrati vengono infatti scelti, in conformità a criteri meritocratici, dal popolo e, attraverso un’individuazione progressiva delle qualità naturali, dell’esperienza e delle conoscenze di ogni cittadino, si arriva, lungo una complessa struttura gerarchica, ai gradi superiori della magistratura, in cui alle virtù scientifiche e politiche si aggiungono quelle sacerdotali. Le tre figure che la compongono, «riflesso naturalistico del trinitarismo cristiano»(29) e rispondenti al nome di Pon, Sin, Mor, sono la ‘Potenza’, che  si occupa della difesa, della guerra e delle armi, la Sapienza, dedita alle scienze, e l’‘Amore’, che deve invece prendersi cura del benessere materiale e della vita fisiologica dei Solari. Al di sopra di questi tre «principi collaterali» troviamo infine il magistrato supremo, che risponde al nome di Sole o Metafisico, «capo di tutti in spirituale e temporale» e nel quale «tutti li negozi […] si terminano»(30), contraddistinto dal resto della comunità per la vastità della sua conoscenza, che, permettendogli un contatto più ravvicinato con «la radice e prova d’ogni arte e scienza», deve essere finalizzata alla guida dei concittadini verso la felicità terrena.
Merita infine sottolineare che «questo offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più di lui e sia più atto al governo»(31). Come aveva già proposto Platone, la beatitudine degli uomini viene quindi a connettersi intrinsecamente con la presenza di un governo affidato ai filosofi che, nell’ottica campanelliana, possono dar vita ad una repubblica laboriosa e pacifica, in cui i cittadini, privi di ogni ambizione e vincolo privato, vivono in una concorda fraterna dal sapore monastico, assecondando le proprie inclinazioni naturali e mettendole al servizio della collettività per favorire il benessere materiale e morale di ogni sua parte.
In sintesi, il richiamo alla giustizia sociale che domina lo sfondo della Città del Sole può essere condensato in una manciata di punti: l’abolizione della proprietà privata e dell’istituto della famiglia, il primato dell’eugenetica sull’attrazione amorosa nella riproduzione della specie umana, l’ampliamento generale del diritto all’istruzione, la selezione delle attitudini naturali, l’obbligo al lavoro e il rifiuto complessivo di ogni attività o interesse ozioso e, in quanto tale, nocivo alla comunità. All’apparente ingenuità indicata all’inizio di questa breve caratterizzazione dell’opera, alla cui intima essenza Campanella resterà fedele fino agli ultimi anni della sua vita, ricordandola, come vedremo, nell’Ecloga in nativitatetm Delphini, può essere quindi contrapposta la modernità del suo appello ad una palingenesi sociale, tenacemente proiettata verso il futuro e che, nella sua specifica prospettiva profetica, si unisce ad una ferma dichiarazione di «fede nel progresso» e di  «entusiasmo per la nuova scienza sorgente»(32).     



Note
(18) L. Firpo, Tommaso Campanella, ed. cit., a p. 7.
(19) Ivi, p. 8.
(20) Ivi, p. 10.
(21) Cfr. Articuli prophetalis, a cura di G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze 1977.
(22) Cfr. Secunda delineatio defensionum Fratris Thomae Campanellae, in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, ed. cit., pp. 172-213.
(23) G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 83.
(24) G. Ernst, La Città del Sole, a cura di G. Ernst, Rizzoli, Milano 1996, Introduzione, p. 12; cfr. anche N. Bobbio, La Città del Sole, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1941, Introduzione, pp. 31-34.
(25) L. Firpo, La Città del Sole, a cura di L.Firpo, nuova edizione a cura di G. Ernst e L. Salvetti Firpo, Laterza, Roma- Bari 1997, Introduzione, p. XXXI.
(26) Ivi, p. 10.
(27) G. Ernst, La Città del Sole, ed. cit., Introduzione, p. 19.
(28) L. Firpo, ivi, p. XXXII.
(29) L. Firpo, ivi, p. XXXIII.
(30) Ivi, p. 7.
(31) Ivi, p. 13.
(32) L. Firpo, ivi, p. XXXV.







Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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