MONARCHIA UNIVERSALE E LIGITTIMAZIONE DELLA CONQUISTA DEL NUOVO MONDO


Nella Monarchia del Messia prende nuovamente forma la riflessione sulla ‘monarchia universale’, che, come abbiamo visto, era già stata al centro di uno dei primi scritti politici dello Stilese, ovvero la perduta Monarchia dei Cristiani. Tema tra i più caratteristici della sua dottrina politica, costantemente richiamato in altre opere, l’ideale teocratico campanelliano, che ha nel primato assoluto del pontefice romano e nel congiungersi nella sua persona del potere spirituale e temporale i suoi fondamenti primari, trova nella Monarchia del Messia, vero e proprio «manifesto della teorizzazione della monarchia cristiana»(63), la sua più ampia definizione. Considerata per lungo tempo una generale apologia del primato e della duplice potestà del papa, quindi, contrariamente a buona parte degli scritti campanelliani, priva di specifici riferimenti allo scenario politico contingente, è stato recentemente dimostrato come l’opera sia in realtà connessa, come gli Antiveneti, al conflitto dell’interdetto tra Roma e Venezia, ed in particolare ad un opuscolo del teologo napoletano Giovanni Marsilio, intitolato Risposta d’un dottore in teologia ad una lettera scrittagli da un reverendo suo amico, nel quale veniva negata la signoria temporale di Cristo(64)
Nel primo capitolo della Monarchia del Messia vengono ribaditi quei presupposti teorici che saranno affrontati estesamente nel De politica e che permettono al filosofo calabrese di procedere ad una dettagliata disamina dei domini umani, fondata sulla distinzione preliminare tra il dominio assoluto di Dio e quello relativo dell’uomo, legittimo soltanto entro i limiti stabiliti dal primo. Segue la trattazione di aspetti che approfondiremo più avanti, come la caratterizzazione dei principi ‘per natura’ e di quelli ‘per fortuna’, l’individuazione della legge come strumento donato da Dio agli uomini e finalizzato ad una sapiente integrazione tra le componenti di un dominio, e le modalità di acquisto del potere, distinte secondo la consueta tripartizione tra animi, corpi e beni di fortuna. Merita inoltre di essere sottolineata la definizione del profeta come ‘signore per natura’, in quanto portatore di verità, ovvero per quella stessa ragione per la quale viene perseguitato dai tiranni, i quali non riusciranno però ad incidere sul destino finale del suo messaggio, che continuerà a dominare anche dopo la sua dipartita, perché «la morte è un siggilo di vera signoria»(65).  
Campanella argomenta quindi la propria preferenza per la monarchia, capace di garantire e consolidare l’unità, per il cui mantenimento si rivela ancor più importante, come abbiamo già sottolineato, l’unione della potestà in spiritualibus e temporalibus nella stessa persona, che permette al suo ‘legittimo possessore’ di evitare l’adulazione dei principi temporali e di intervenire direttamente, grazie all’interazione tra il ruolo vincolante ed unificante della religione e la forza  delle armi, dove necessario, mentre «il sommo sacerdote senza gladio, e signoria temporale è di poca stima, diventa preda delli principi, et dice, et fa a modo loro»(66)
Per esercitare il proprio dominio e guidare le altre componenti della comunità in modo conveniente il sovrano deve essere più sapiente di tutti i suoi sudditi, così come, per castigare i loro vizi, deve esserne più potente, ma soprattutto deve amare il bene comune più del proprio, ovvero configurarsi come un re-pastore. Inoltre, la natura divina del dominio umano, vera o simulata, porta al sovrano evidenti vantaggi politici, come è testimoniato dalla storia dei popoli, che da sempre si mostrano ben più disposti ad ubbidire a coloro che credono dipendere da Dio, legittimazione che, allo stesso tempo, rende le leggi degne di venerazione, quindi osservate non solo pubblicamente ma anche nel cuore.
In base alla concezione teocratica campanelliana, dall’unità divina deriva quella originaria di regno e sacerdozio, alla quale si lega la prospettiva di un ritorno del genere umano ad una sola legge sacerdotale:


Poteva Dio creare in ogni provincia un huomo, e farlo re di quella in spirituale et temporale, ma perché Dio è uno et ama l’unità ha creato un huomo solo re, sacerdote et padre del mondo tutto, acciocché tutti sendo d’un sangue et d’un spirito, gli huomeni del mondo convenissero sotto un principato divino amorosamente, di cui fosse una sola religione anima(67).


Ciò accadrà alla fine del ciclo storico, scandito dalle infinite sette introdotte dal demonio e alimentate a loro volta dall’avidità e dall’insipienza degli uomini. Al compimento di questo processo avrà luogo l’epoca che il filosofo calabrese identifica con il secolo d’oro, a cui si accompagnerà, con l’eliminazione dei loro presupposti, la fine dei mali che affliggono il mondo. Comune denominatore di tali mali è la divisione fra gli uomini, la cui causa primaria viene individuata nell’intervento del diavolo, che, invidioso del bene dell’unità, opera «per farci ignoranti, e ingannarci, e non avvisarci l’un l’altro quel che osserviamo […] affinché perduta la conoscenza tra noi trafficassimo di paese e paese solo per via di guerra e di morte, in continua paura, senza carità con Dio padre nostro e fra noi tutti suoi figli»(68).
La difesa della ‘monarchia universale’ prende quindi la forma di una critica acerrima a coloro che, come il già citato Soto, seguendo la scia di Aristotele ritengono impossibile, e soprattutto contro natura, che un solo uomo eserciti il proprio dominio su tutto il mondo. La replica campanelliana richiama l’attenzione sul significato profondo dell’avvento di Cristo, la cui incarnazione ha rappresentato la restituzione alla natura della sua innocenza originaria, grazie alla diffusione di leggi comuni ed universali che, proprio perché fondate sull’universalità dell’amore di Dio, hanno innescato un progressivo processo di eliminazione di ogni forma di separatezza, che troverà la sua configurazione definitiva nell’età dell’oro, in cui tutti gli uomini vivranno sotto un unico sovrano temporale e spirituale, ovvero secondo l’unità originaria di regno e sacerdozio(69). I presupposti della realizzazione della monarchia dei cristiani sono quindi l’individuazione nell’avvento di Cristo di una ‘restaurazione’ non solo spirituale ma anche temporale, il conseguente riconoscimento universale della sua signoria e, soprattutto, della trasmissione della sua doppia potestà al pontefice, suo vicario in terra. A queste problematiche, in primis alla legittimazione del potere temporale del papa, lo Stilese, ben consapevole delle forti argomentazioni degli oppositori, tanto protestanti che cattolici, dedica l’ultima parte dell’opera, diretta a confutare dettagliatamente le dottrine che muovono nella direzione opposta a quella tracciata dalla sua concezione teocratica.
Riducendo la signoria di Cristo ad un aspetto esclusivamente spirituale può venir meno, come testimonia la dottrina ebraica, la sua identificazione con il Messia e con l’avvento del regno messianico, che va invece, come si può dedurre da una corretta interpretazione dei Salmi, progressivamente costituendosi sotto il dominio dei pontefici, suoi vicari. Le armi cristiane vanno quindi identificate con quelle del Messia, in una prospettiva dalla quale discende la legittimazione della conquista del nuovo mondo da parte del monarca spagnolo, trattata nei Discorsi sui diritti del Re Cattolico sopra il nuovo emisfero, la cui stesura risale verosimilmente agli anni in cui fu composta la Monarchia del Messia, alla cui redazione latina saranno annessi come ultimo capitolo(70)
Nel tentativo di definire, indipendentemente dalla condannabilità delle sue modalità di realizzazione, in che cosa consista il diritto alla conquista del «nuovo emisfero» riconosciuto al sovrano di Spagna, il quale «eseguisce la profezia e non pecca per usurpazion di giudizio, ma solo per avarizia o ambizione»(71), Campanella si oppone alle posizioni sostenute da altri celebri frati domenicani, quali il cardinal Gaetano, Francisco de Vitoria e, nuovamente, il Soto, nelle quali «alla piena legittimazione e all’universalizzazione dei diritti naturali corrispondeva un progressivo, deciso restringimento delle prerogative del Papa»(72), che, oltre a ridursi ad un piano esclusivamente spirituale, venivano confinate entro la Cristianità, o limitate all’utilizzo di opportuni mezzi di acquisto. In questa prospettiva anche la condizione di peccato delle popolazioni indigene non costituiva quindi una ragione sufficiente a legittimare l’intervento armato, lecito, a tutela della fede, soltanto nel caso in cui l’azione persuasiva dei predicatori venisse ostacolata da sovrani tirannici o, ad avvenuta conversione degli abitanti del nuovo mondo, seguisse un ritorno all’idolatria originaria. 
Nella disamina campanelliana queste posizioni vengono omologate nella comune strumentalizzazione, tipicamente machiavelliana, della religione a fini politici, e considerate frutto di una ragione prettamente umana e non divina, perché, ascoltando questi «pseudoteologi», «la religione saria ruffiana dell’ambizione del principe, il quali manda a posta li predicanti, perché siano mal trattati, et esso possa far guerra sotto color di religione»(73). Campanella conferma invece la pienezza dello ius del sovrano cattolico, legittimato dal suo stesso ruolo di esecutore, in nome del pontefice, del disegno provvidenziale che fa capo alla riunificazione del mondo e del genere umano, all’interno del quale dovrà porsi come congregatore del gregge cristiano. 



Note
(63) G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 142.
(64) Cfr. V. Frajese, La Monarchia del Messia, a cura di V. Frajese, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1995, Introduzione, pp. 5-8. Il breve scritto di Giovanni Marsilio, composto di otto coincise proposizioni, era stato «il primo libello uscito dai torchi veneziani sulla causa dell’interdetto».
(65) Ivi, p. 53.
(66) Ivi, p. 60.
(67) Ivi, p. 61.
(68) Ivi, pp. 62-63.
(69) Cfr. Ivi, pp. 67-68.
(70) Cfr. Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero, in G. Ernst, Monarchia di Cristo e Nuovo Mondo. Il ‘Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero’, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi e F. Barcia, Franco Angeli, Milano 1999, vol. II, pp. 11-36, alle pp. 22-31; Monarchia Messiae, apud G. Arnazzinum, Aesii 1633; ristampa anastatica a cura di L. Firpo, Bottega d’Erasmo, Torino 1960 (1973).
(71) Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero, ed. cit., p. 26.
(72) G. Ernst, Monarchia di Cristo e Nuovo Mondo. Il ‘Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero’, ed. cit., p. 15.
(73) Discorso delle ragioni che ha il Re Cattolico sopra il nuovo emisfero, ed. cit., p. 23.






Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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