I PRIMI SCRITTI POLITICI E LA CONFIGURAZIONE DEL RAPPORTO TRA RELIGIONE E POLITICA






INTRODUZIONE


1. Dal soggiorno padovano al ritorno in Calabria

1.1. I primi scritti politici e la configurazione originaria del rapporto tra religione e politica

Un primo cenno stringato alle proprie conoscenze politiche Campanella lo offre in una lettera scritta da Padova il 13 agosto 1593 ed indirizzata al granduca Ferdinando, nella quale, dopo essere venuto a conoscenza di quei giudizi negativi che avrebbero compromesso definitivamente le sue possibilità di ottenere una cattedra in Toscana, motivati soprattutto dall’adesione del frate calabrese alla dottrina telesiana, difende appassionatamente le filosofie nuove. Dopo averne sottolineato la capacità di rendere un principe degno di rispetto e venerazione, lo Stilese fa infatti riferimento fugacemente anche alle proprie competenze riguardo alla scienza «con la quale si governano gli stati»(1). Ripercorrendo le tappe che scandiscono il concitato itinerario decennale dalla ‘fuga’ dalla natia Calabria del 1589 al ritorno obbligato del 1598, è proprio nel periodo in cui cade la stesura di questa lettera, ovvero quello padovano, seguito ai soggiorni a Napoli, Roma, Firenze e Bologna, che gli interessi politici di Campanella sembrano intensificarsi, delineandosi attorno ad una prima teorizzazione di quell’utopica teocrazia universale che troverà più solide fondamenta nella maturità del suo percorso intellettuale. A testimoniarlo sono dei passi del Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, nei quali il filosofo calabrese dichiara di aver scritto la Monarchia dei Cristiani e Sul governo della Chiesa proprio a Padova. Nella prima, perduta ma costantemente richiamata negli altri scritti politici, l’autore mostrava «con quali arti la repubblica cristiana è cresciuta in passato e crescerà in futuro, con quali sia solita diminuire e con quali sia possibile rinvigorirla, parlando da un punto di vista politico». Nella seconda opera ricordata, persa anch’essa ma riscritta in forma aforistica nei Discorsi universali del governo ecclesiastico(2), Campanella si rivolgeva invece al pontefice indicando come, senza entrare direttamente in conflitto con i dissensi dei principi di tutto il mondo, «con le sole armi ecclesiastiche possa costituire l’unico ovile sotto l’unico pastore»(3).
Già dai riferimenti a questi primi scritti, e da quel che ci è concesso di conoscerne indirettamente, si può dedurre con certezza la presenza fin dai primi lavori giovanili di alcune tematiche che conserveranno la propria validità anche nella successiva produzione politica dello Stilese, dalla centralità del rapporto fra religione e politica, a cui segue la necessità di meditare sulle modalità di ripristino di quell’unità cristiana infranta dall’avvento della Riforma, alla ridefinizione, nella prospettiva di una monarchia universale che riunifichi tutta l’umanità in un «unico ovile» e sotto un «unico pastore», dei giusti rapporti fra potere temporale ed ecclesiastico.
Si può collocare verosimilmente in questo periodo anche una prima stesura dei Discorsi ai principi d’Italia(4), che Campanella rielaborerà nel 1607 ponendo l’accento sull’investitura profetica della Spagna, a cui sarà affidata, secondo un progetto universalistico che i principi saranno esortati ad assecondare, la missione di gettare le basi della monarchia cristiana, in quanto strumento prescelto dalla divina provvidenza. Come è stato sottolineato, il movente più immediato di questa rielaborazione sarà la constatazione che «l’ulteriore avvio della Spagna alla conquista del mondo può avere inizio soltanto dall’Italia», terra fertile e popolosa, e che, dopo averla unificata sotto il proprio dominio, alla forza spagnola «nessuna potenza europea sarà in grado di contendergli la monarchia universale»(5). Nel nucleo originario dei Discorsi il richiamo all’unità cristiana ha invece ancora le forme di un fervido invito ai principi della penisola ad instaurare una stretta alleanza politica con il Papa, che deve essere visto come padre comune e, in quanto tale, garante di pace, proteso a favorire la loro unione contro gli oppositori della cristianità e a difendere i figli più deboli ogni volta che vengono attaccati illegittimamente. Opponendosi così a coloro che mostravano il proprio favore per la divisione e l’equilibrio tra le forze italiche, il filosofo calabrese esorta i principi a sostenere l’unione cristiana con ogni strumento, in quanto anche da un punto di vista politico la loro frammentazione ed i rispettivi particolarismi non fanno che renderli facili prede per la superiore potenza turca. Anche in questo caso, molte delle tesi esposte vengono a costituirsi come costanti della riflessione politica campanelliana, riprese, come vedremo, nei Discorsi ai principi del periodo francese, in cui il testimone dell’investitura profetica passerà dalla Spagna alla Francia. Il minimo comune denominatore di questi ritorni sul nucleo concettuale originario è costituito dall’individuazione nell’universalità del papato, non rispondente a nessun interesse privato, di una garanzia oggettiva per i principi cristiani, che non possono che trarre benefici politici dall’alleanza con il vicario di Cristo. 
Agli esordi del 1594, con l’arresto di Campanella, si chiude la parentesi padovana e ha inizio quello che costituisce il ‘terzo processo’, che si protrarrà più a lungo dei precedenti, portando Campanella, a partire dall’ottobre di quello stesso anno, a confrontarsi con la sconfortante realtà delle carceri del Sant’Uffizio. In attesa di giudizio e in un clima duro ma denso incontri intellettuali, il filosofo calabrese porta avanti la propria opera, scrivendo anche, nel corso del 1595, opuscoli e discorsi politici, fra i quali va annoverato con ogni probabilità il Discorso sui Paesi Bassi, che diventerà, come vedremo, il XXVII capitolo della Monarchia di Spagna. E proprio di quest’ultima è stata recentemente rinvenuta una prima stesura giovanile, verosimilmente composta tra il 1593 ed il 1595, che, analoga nei temi e nella struttura, offre «un testo notevolmente più breve e più scarno»(6) della redazione definitiva, testimoniando ancora una volta il configurarsi in questo biennio di una parte rilevante dei nodi tematici primari della filosofia politica campanelliana. 
Dopo la conclusione del ‘terzo processo’ alla fine di aprile del 1595, con la condanna all’abiura per grave sospetto di eresia(7), nella seconda metà dell’anno viene assegnata a Campanella, come residenza obbligatoria, il convento domenicano di Santa Sabina sull’Aventino, dove scrive, su sollecitazione del cardinale Michele Bonelli, protettore dell’ordine domenicano, il Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici, «aspirando alla piena riabilitazione, all’inserimento attivo delle proprie energie tra le forze che fanno argine sugli spalti della fortezza cattolica contro gli assalti dei riformatori, degli scismatici e degli idolatri»(8). Ambientata a Napoli all’epoca del primo soggiorno del filosofo calabrese, l’opera, scritta in volgare «in un linguaggio volutamente popolare, che non disdegna di ricorrere ad immagini molto concrete e comuni»(9), è un duro attacco alle dottrine riformate. Al centro del confronto tra i dialoganti troviamo infatti una tesi cara al filosofo calabrese, sulla quale insisterà con estrema asprezza anche in altri scritti, soffermandocisi ampiamente nello stesso De politica, ovvero l’inconciliabilità tra la Riforma ed una conservazione ordinata delle comunità politiche. 
Due sono gli aspetti a cui può essere ridotta l’argomentazione campanelliana, il primo dei quali fa leva su un tema fondante del suo pensiero politico, l’altro, a questo strettamente connesso, riguarda invece una questione dogmatica. La ragione primaria di questa posizione inflessibile, che testimonia ulteriormente la relazione imprescindibile che lega tra loro politica e religione nella visione dello Stilese, va ricercata sicuramente nel primato politico attribuito all’unità degli animi, dalla quale dipendono quella dei corpi e delle fortune, ovvero la stabilità di un dominio. Tale unità si traduce nell’opportunità dell’unicità della religione, alla quale i protestanti, portando la divisione in seno alla cristianità, hanno invece attentato, diffondendo nuove credenze religiose per personali interessi politici, ribadendo indirettamente gli assunti campanelliani e caratterizzandosi come seguaci di religioni ‘parziali’. 
Da un punto di vista dogmatico la tesi dello Stilese si fonda invece su un’interpretazione negativa della teoria della predestinazione, formulata dai riformati, la quale, enfatizzando il carattere esclusivo dell’iniziativa divina, annulla il libero arbitrio dell’uomo, con la conseguente svalutazione dei meriti delle opere buone ai fini della salvezza. Da qui nasce l’incompatibilità delle dottrine riformate con una ordinata convivenza sociale, poiché, considerando la loro sorte predeterminata e l’eticità di ogni loro azione irrilevante, i cittadini saranno naturalmente portati ad accogliere ogni novità e a lasciarsi andare alle condotte più sfrenate, rendendo così instabile ogni dominio. A questa interpretazione si lega anche la critica all’immagine di Dio che scaturisce, a suo dire, dalle dottrine riformate, quella di un Dio ingiusto, che, benché abbia già stabilito il destino di ognuno, manifesta la volontà di salvare tutti e «opera in loro per suo spasso, bene gli uni, e male gli altri, senza lor meriti e demeriti»(10). Anche in questo caso, come per gli scritti precedenti, vengono delineati alcuni temi che conserveranno fino alla fine il proprio valore, dalla religione come primario vincolo unitivo, in quanto tale necessario, alla critica acerrima alle dottrine riformate, viste come religioni ‘parziali’, in quanto tali false, capaci di attentare all’unità cristiana soltanto per interessi politici personali, rinnegando il ruolo fondamentale dell’unità degli animi dal punto di vista politico, e la sua universale garanzia, ovvero l’autorità del pontefice romano.



Note
(1) Cfr. Lettere, a cura di V. Spampanato, Laterza, Bari 1927, a p. 7.
(2) Cfr. Discorsi universali del governo ecclesiastico, in G. Bruno e T.Campanella, Scritti scelti, a cura di L. Firpo, Utet, Torino 1949, pp. 467-523. 
(3) Sintagma dei propri libri e sul corretto modo di apprendere, in Tommaso Campanella, testi a cura di G. Ernst, Introduzione di N. Badaloni, Il Poligrafico dello Stato, Roma 1999, pp. 382-407, a p. 382. L’opera, pubblicata nel 1642, è una bibliografia ragionata dei contenuti e dei tempi di redazione delle opere campanelliane, con scarne testimonianze biografiche. Dall’individuazione di alcune inesattezze e contraddizioni interne è stata congetturata la presenza di interpolazioni operate dallo studioso francese Gabriel Naudé, a cui lo scritto fu dettato verosimilmente nel 1632.
(4) Per una ricostruzione delle congetture che hanno permesso di collocare credibilmente la prima stesura dell’opera nel 1593-1594 e la successiva ricomposizione accentuatamente filo-spagnola nel 1607 cfr. L. Firpo, Discorsi ai principi d’Italia, in Discorsi ai principi d’Italia e altri scritti filo-ispanici, a cura di L. Firpo, Chiantore, Torino 1945, Introduzione, pp. 24-30.
(5) L. Firpo, ivi, Introduzione, p. 31.
(6) G. Ernst, La Monarchia di Spagna. Prima stesura giovanile, a cura di G.Ernst, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1989, Introduzione, p. 8; per la datazione dello scritto cfr. Ivi, pp. 8-11. 
(7) Cfr. I primi processi campanelliani in una ricostruzione unitaria, in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura di E. Canone, Salerno, Roma 1998, pp. 59-87.
(8) L. Firpo, Tommaso Campanella, in I processi di Tommaso Campanella, ed. cit., pp. 3-28, a p. 7. 
(9) G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 33.
(10) Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici, in Apologia di Galileo e Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici, a cura di D. Ciampoli, Barabba, Lanciano 1911, pp. 83-189, a p. 100.








Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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